
Trasformare la cultura del lavoro
Il secondo segnale negativo del progetto Campioni per l’alternanza è che ancora una volta il ministero passa sopra l’autonomia scolastica. Giusti mi dà ragione e anzi rincara la dose: “Questa è un’altra delle tendenze disastrose riprese dall’ex ministro dell’istruzione Fioroni, spianando poi la strada a Gelmini e Giannini, ricominciando a emanare circolari a getto continuo, e trattando le scuola non come realtà autonome, ma come esecutrici”.
Quello che manca è una buona ideologia dietro questo progetto che faccia valere il dibattito pedagogico come strumento di trasformazione della cultura del lavoro. Quello con cui abbiamo a che fare è il contrario: il prodotto di risulta di un toyotismo fuori tempo massimo che – dopo essere stato applicato all’industria privata e alla pubblica amministrazione – vorrebbe essere portato anche nella scuola.
Quando si legge che i ragazzi vogliono imparare il problem solving e le soft skill, ci si è già arresi al fatto che le nuove generazioni non potranno modificare in nulla il mondo che si trovano davanti e che il valore più grande che gli si possa trasmettere è l’adattabilità. Fa un po’ specie che questo punto di vista non è solo sostenuto da manager aziendali con qualche abilità retorica ma è avvalorato da studi che le aziende stesse commissionano alle università – in una specie di circolo vizioso di autoconferma anche del dibattito.